Doctrina Extranjera.
Dr. GIUSEPPE CASSANO Profesor de Instituciones de Derecho Privado en las Universidades LUISS de ROMA, y Doctor en Derecho Privado por la Univsersidad de PISA, es titular de las cátedras de Derecho Privado y Derecho del Internet en la European School of Economics. Director del Master en Internet Law, en MILAN y ROMA, además en la sede Roma sigue los cursos de perfeccionamiento en “Diritto di famiglia e dele persone”, y “Responsabilitá Civile”. Profesor en la Universidad Catolica del Sacro Cuore de MILAN en los cursos de alta formación “Diritto delle Nuove Tecnologie della Comunicazione”. Director de la Revista “Diritto dell ´Internet”, entre otras publicaciones. Ha publicado mas de trescientos artículos jurídicos, y númerosos libros como autor o director.
LA GIURISPRUDENZA DELLA CASSAZIONE IN TEMA DI DANNO NON PATRIMONIALE ED ESISTENZIALE DAL 2006 ALLE SEZIONI UNITE 26972/2008
Al dibattito su contenuto e limiti del danno esistenziale e, ancor prima, sulla possibile autonomia dello stesso rispetto al danno biologico, da un lato, e al danno morale, dall’altro, non si è sottratta la giurisprudenza di legittimità che, nel corso del 2006, ha fatto registrare due importanti decisioni le quali valgono a segnare precisi punti fermi dai cui non potranno prescindere né la dottrina, né tanto meno i giudici di merito, e che sicuramente andranno rilette e bilanciate alla luce delle Sezioni Unite 26972/2008 .
Il riferimento è, in particolare, alla sentenza n. 6572 del 24 marzo 2006 adottata dalle Sezioni Uniti (Pres. Carbone V. – Rel. Cons. La Terza M.) - che si innesta sul quel noto contrasto circa la necessità di provare, per il lavoratore, il danno non patrimoniale da demansionamento – e alla decisione n. 13546/2006 che affronta la questione delle conseguenze sottese alla perdita del rapporto parentale.
In dottrina la prima di tali decisioni è stata definita, con espressione che coglie certamente nel segno, “una sorta di decalogo del danno esistenziale”, in quanto permette all’interprete non solo di avere una definizione univoca di danno esistenziale, ma anche precise indicazioni quanto alla prova di tale danno e alla distinzione con le altre voci di danno.
Ben potendosi prescindere dalla vicenda oggetto di giudizio e dalle statuzioni dei giudici di merito (avendosi peraltro anticipato come la questione in punto di diritto attenga fondamentalmente alla necessità, o meno, per il lavoratore di provare puntualmente il danno non patrimoniale da demansionamento), è utile premettere come secondo i Giudici del Supremo Collegio alla luce della forte valenza esistenziale del rapporto di lavoro, per cui allo scambio di prestazioni si aggiunge il diretto coinvolgimento del lavoratore come persona,
SS.6572/06
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Questa definizione, che assegna definitiva cittadinanza al danno esistenziale nel nostro ordinamento giuridico, permette di affermare come sia risarcibile la differenza qualitativa di tipo negativo che la vita della vittima subisce dopo l’intervenuta lesione. Lesione che può riguardare aspetti patrimoniali (ad es. limitazione alla godibilità della propria abitazione) e aspetti non patrimoniali (ad es. perdita del frutto del concepimento, perdita del rapporto parentale, vacanza rovinata etc.).
Ad ogni buon fine, deve qui evidenziarsi come il danno esistenziale sia catalogabile tra quei danni cc.dd. conseguenza nel senso che esso è materialmente e giuridicamnte differente rispetto alla lesione stessa.
Diventa quindi logico corollario l’affermazione secondo cui se danno esistenziale è lo sconvolgimento negativo della quotidianità della vittima allora quest’ultima dovrà allegare e provare in giudizio in cosa consista il peggioramento della vita stessa.
Affermano sul punto le Sezioni Unite:
<<>>.
Per meglio comprendere come parte attrice debba soddisfare in giudizio l’onere della prova del danno esistenziale giova la lettura di un ulteriore passo della sentenza in esame.
Correttamente i Giudici del Supremo Collegio abbandonano la teoria del danno esistenziale quale danno in re ipsa e tratteggiano la differenza tra l’onere della prova in tema di danno biologico e quello in tema di danno esistenziale:
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Con questo suo intervento, inoltre, la Cassazione sgombra definitivamente il campo da quella critica mossa da più parti secondo cui il danno esistenziale finirebbe per essere inutile duplicazione del danno morale proprio perché il danno esistenziale – precisano le Sezioni Unite - si fonda sulla natura non meramente emotiva ed ulteriore – che invece è propria del danno morale – ma su quella del pregiudizio oggettivamente accertabile attraverso la prova di una quotidianità differente a causa della lesione subita.
Infine, il danno esistenziale è ritenuto conseguenza anche di un inadempimento contrattuale.
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Non viene poi affrontato in modo esplicito il tema della liquidazione del danno esistenziale e pur tuttavia non può dirsi che manchino precise ed univoche indicazioni in tal senso.
Da un lato, si afferma chiaramente che il danno esistenziale non è “passibile di determinazione secondo il sistema tabellare - al quale si fa ricorso per determinare il danno biologico” e dall’altro che “in mancanza di allegazioni sulla natura e le caratteristiche del danno esistenziale, non è possibile al giudice neppure la liquidazione in forma equitativa, perchè questa, per non trasmodare nell'arbitrio, necessita di parametri a cui ancorarsi”.
In definitiva, allegato e provato il danno esistenziale da parte della vittima, il Giudice adito ricorrerà ad una liquidazione equitativa.
Le Sezioni Unite concludono poi il loro argomentare riassumendolo nel principio di diritto secondo cui:
CASS.13546/06
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Quanto alla successiva Cass. Civ., Sez. III, 12 giugno 2006, n. 13546 (Pres. Nicastro G. - Rel. Cons. Scarano L. A.) essa interviene sul tema delle conseguenze da perdita del rapporto parentale (nella specie, a seguito di incidente stradale muore un uomo sposato e padre di famiglia).
Si tratta di una pronuncia che consolida quell’orientamento espresso appena pochi mesi prima dalle Sezioni Unite in merito alla definizione che può darsi al danno esistenziale.
Si legge in motivazione:
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La Suprema Corte precisa, poi, come il danno da uccisione consista non già nella violazione del rapporto familiare quanto piuttosto nelle conseguenze che dall'irreversibile venir meno del godimento del congiunto e dalla definitiva preclusione delle reciproche relazioni interpersonali.
Escluso che tale tipo di danno sia configurabile in re ipsa, precisa la Corte come esso debba essere allegato e provato da chi vi abbia interesse, senza rimanere tuttavia precluso il ricorso a valutazioni prognostiche ed a presunzioni (sulla base di elementi obiettivi forniti dall'interessato).
Peraltro, proiettandosi tale danno nel futuro, assume al riguardo rilievo la considerazione del periodo di tempo nel quale si sarebbe presumibilmente esplicato quel godimento del congiunto che l'illecito ha reso invece impossibile (v. Cass., 31 maggio 2003, n. 8827; Cass., 31 maggio 2003, n. 8828).
Il danno non patrimoniale deve essere dunque riconosciuto e liquidato nella sua interezza, essendo pertanto necessaria, laddove il risarcimento non risulti in termini generali e complessivi domandato, l'analitica considerazione e liquidazione in relazione ai diversi aspetti in cui esso si scandisce.
Quando il danneggiato chiede il risarcimento del danno non patrimoniale la domanda va cioè intesa come estesa a tutti gli aspetti di cui tale ampia categoria si compone.
Secondo l’orientamento interpretativo maggiormente condiviso, invero, la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale in termini generali formulata non può essere infatti limitata alla considerazione meramente di alcuni dei medesimi, con esclusione di altri (v. Cass., 24 febbraio 2006, n. 4184; Cass., 26 febbraio 2003, n. 2869), essendo predicabile una tale limitazione esclusivamente quando, in ossequio al principio della domanda, vi sia una precisa scelta del danneggiato che si limiti a far valere solamente alcuna delle voci che integrano tale categoria (v. Cass., 28 luglio 2005, n. 1583; Cass., 07 dicembre 2004, n. 22987).
Venendo più da vicino alla prova del danno esistenziale, afferma la Corte:
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Si sofferma poi la Corte sul tema delle presunzioni avuto particolare riguardo alla loro operatività:
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Quindi, con riferimento alla perdita parentale:
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Dobbiamo ora fare riferimento ad un importante mutamento del tessuto normativo. In particolare, con l’entrata in vigore, il primo gennaio 2006, del nuovo Codice delle Assicurazioni (D.Lgs. n. 209 del 7 settembre 2005) si è attuata una riforma strutturale dell’intero sistema della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore senza guide di rotaie e dei natanti che ha comportato una razionalizzazione del sistema previgente.
Alle molteplici leggi abrogate, a partire dalla nota legge n. 990/1969 (v. art. 354), si è sostituito un unico testo normativo che, in parte a carattere innovativo, in parte a carattere compilativo, ha comunque determinato, almeno in alcuni punti, svolte decisive.
Si pensi al cd. sistema di indennizzo diretto che, al ricorrere di determinate condizioni, permette al soggetto danneggiato di ottenere il risarcimento danni direttamente dalla propria società assicurativa e non già da quella del veicolo antagonista.
Innegabili, inoltre, sono le questioni interpretative e i dubbi che si sono accompagnati sin dal suo nascere al Codice e sui quali la dottrina ha già speso fiumi di inchiostro e la giurisprudenza, da parte sua, sta via via offrendo il proprio contributo.
In questa sede non è opportuno, né richiesto, un approfondito esame del Codice nella sua interezza ma non possiamo certamente esimerci dalla questione relativa al se e al come il legislatore della riforma abbia inciso sulla figura del danno esistenziale.
Ad una prima lettura si nota come il Codice abbia dato corso ad una bipartizione tra danno patrimoniale, da un lato, e danno biologico, dall’altro.
All’art. 137 – rubricato <
<<1.>>.
Non si è mancato in dottrina di evidenziare come il legislatore sia incorso nell’inesattezza di utilizzare alla stregua di sinonimi i termini di invalidità ed inabilità quando, come noto, l’uno inerisce <
Altre questioni interpretative sorgono poi con riferimento ai successivi artt. 138 e 139 del Codice che, per quanto in questa sede più da vicino ci occupa, hanno fatto muovere a taluni obiezioni in ordine alla esistenza stessa del danno esistenziale.
In primis, va detto come a norma dell’art. 138 si prevede che
<<1.>>.
Tale norma, come noto riferita al danno biologico per lesioni di non lieve entità (cioè alle lesioni tra il 10% e il 100% di invalidità), prevede un sistema di tabellazione unico a carattere nazionale con l’evidente intento di semplificare e razionalizzare il sistema del risarcimento del danno biologico.
Ma qui occorre chiedersi cosa si intenda per danno biologico soprattutto alla luce dell’inciso <
L’espressione, in realtà, non è nuova nel panorama normativo italiano. Essa si può rinvenire all’art. 13 della legge n. 38/2000, all’art. 95 della legge n. 388/2000, nel DM 3 luglio 2003 - Tabella delle menomazioni all’integrità pisco fisica compresa tra 1 e 9 punti di invalidità - Allegato 1 (v. De Gioia, op. cit.).
Il nodo interpretativo da sciogliere attiene, in particolare, alla possibilità, o meno, che attraverso tale espressione il legislatore abbia voluto optare per la riconduzione della figura del danno esistenziale all’interno del danno biologico.
La tesi della dimensione plrudimensionale del danno biologico è stata autorevolmente sostenuta dalla Suprema Corte anche con riferimento alle citate disposizioni del Codice all’epoca della pronuncia ancora da emanare definitivamente. Il riferimento è alla sentenza Cassazione civile, Sez. III, 18 novembre 2005, n. 24451 secondo cui si ha una definizione analitica del danno biologico “negli articoli 138 e 139 dell'emanando codice delle assicurazioni, che finalmente definisce le quattro dimensioni essenziali del danno biologico, aggiungendo alle prime due (dimensione psichica e fisica a prova scientifica) la incidenza negativa sulle attività quotidiane (come danno biologico per la perdita delle qualità della vita, in concreto subito, che subito gli esistenzialisti considereranno tale) e la perdita degli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato (che invece attengono alla vita esterna, non solo a rilevanza sociale, ma anche culturale e politica, inclusa la perdita della capacità lavorativa generica)”.
L’attuale assetto interpretativo consolidato in seno alla medesima giurisprudenza di legittimità impone di optare per una soluzione negativa alla proposta questione.
La Corte, cioè, con le più recenti – e già analizzate - sentenze 24 marzo 2006, n. 6572 (Sez. Un.) e 12 giugno 2006, n. 13546 (Sez. III) ha tratteggiato una netta demarcazione tra danno esistenziale, da un lato, e danno biologico, dall’altro; ciò anche sotto il profilo del diverso onere della prova da soddisfare da parte del soggetto danneggiato.
È bene quindi, rimarcare che il Supremo Collegio – sent. n. 13546/2006 cit. - ha affermato espressis verbis che:
CASS.13546/06
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Non solo. Si è precisato anche – S.U. n. 6572/2006 cit.- che:
CASS,6572/06
<
In definitiva, con l’avallo e il conforto della più recente giurisprudenza di legittimità si può affermare come il nuovo Codice delle Assicurazioni non metta in crisi il danno esistenziale e non ne mini la sua autonomia.
Come rilevato in dottrina “Questa condivisibile conclusione ha, tuttavia, un risvolto negativo: rischia di vanificare gli obiettivi del legislatore, ovvero pervenire alla tabellazione del danno micro e macro permanente per favorire una conciliazione stragiudiziale delle controversie; è evidente come, nel momento in cui, dalle tabelle determinative del quantum debeatur, restano fuori due grandi componenti del danno non patrimoniale, quali il danno morale e il danno da lesione di valori costituzionalmente garantiti, tutto il sistema risarcitorio del codice delle assicurazioni rischia di vacillare, non offrendo quelle garanzie di semplificazione e di velocizzazione che erano alla base della scelta di stabilire una tabellazione unitaria nazionale” (v. De Gioia, op. cit.).
Identiche le conclusioni cui giunge in dottrina Bilotta (Il danno esistenziale nella recente giurisprudenza della Cassazione, nel diritto.it, n. 2 – novembre 2006) secondo cui <
Veniamo ora, conclusivamente, agli ultimi interventi della giurisprudenza di legittimità.
La Corte di Cassazione, sez. III civile, ord. interlocutoria 19 dicembre 2007 – 25 febbraio 2008 n. 4712 rimette gli atti del procedimento al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite affinché queste ultime possano superare l’ormai irredimibile contrasto di giurisprudenza insorto in seno alla medesima giurisprudenza di legittimità sul tema del "danno esistenziale".
Queste le considerazioni a sostegno della rimessione degli atti:
Si muove dalla ampia motivazione delle cd. sentenze gemelle (v.: Cass. civ., nn. 8827 e 8828 del 2003) in cui si è consapevolmente evitato di attribuire autonomo rilievo semantico alla categoria del danno esistenziale (che pure è stato, nell'ultimo decennio, il vero protagonista, in dottrina e in giurisprudenza, del dibattito culturale sul contenuto ultimo del danno non patrimoniale, segnando profondamente alcuni itinerari del definitivo approdo al "nuovo" sistema risarcitorio di cui all'art. 2059 così come reintepretato da quelle stesse sentenze).
In tali decisioni è dato leggere che "il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona", per poi discorrersi, ancora "di una tutela riconosciuta al danno non patrimoniale nella sua accezione più ampia di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti alla persona non connotati da rilevanza economica" (pare opportuno precisare, al riguardo, come la corte abbia utilizzato - del tutto consapevolmente - i termini "valori/interessi" della persona, piuttosto che il sintagma "diritto soggettivo inviolabile").
Riaffermata, poi, l'accezione di danno non patrimoniale in termini di vulnus ai valori inerenti alla persona, si precisa ancora in dette pronunce che "non sembra proficuo ritagliare all'interno di tale generale categoria specifiche figure di danno, etichettandole in vario modo: ciò che rileva, ai fini dell'ammissione al risarcimento, è l'ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona dal quale conseguano pregiudizi non suscettivi di valutazione economica", per poi concludere: "si risarciscono così danni diversi da quello biologico e da quello morale soggettivo, pur se anch'essi, come gli altri, di natura non patrimoniale", il che "non impedisce che la valutazione equitativa di tutti i danni non patrimoniali possa anche essere unica, senza una distinzione - bensì opportuna, ma non sempre indispensabile – tra quanto va riconosciuto a titolo di danno morale soggettivo, quanto a titolo di risarcimento del danno biologico in senso stretto, se una lesione dell'integrità psico-fisica sia riscontrata, e quanto a titolo di ristoro dei pregiudizi ulteriori e diversi dalla mera sofferenza psichica", e ciò perché "il danno biologico non è configurabile se manchi una lesione dell'integrità psico-fisica secondo i canoni fissati dalla scienza medica: in tal senso si è orientato il legislatore con gli artt. 13 del decreto legislativo 23.2.2000 e 5 e 38 della legge 57/01, prevedendo che il danno biologico debba essere suscettibile di accertamento o valutazione medico-legale".
A sua volta la Corte Costituzionale, solo pochi mesi dopo la pubblicazione delle sentenze "gemelle" del 2003, menziona espressamente la nuova categoria di danno in un passaggio della sentenza n. 233, tributandogli, in seno al "nuovo" art. 2059 c.c., un espresso riconoscimento, anche semantico, al fianco del danno biologico e del danno morale subbiettivo, in un sistema risarcitorio dei danni ormai definitivamente riconosciuto come sistematicamente bipolare (danno patrimoniale/danno non patrimoniale) e sottosistemicamente pentapartito (lucro cessante/danno emergente, da un canto; danno morale subbiettivo/danno biologico in senso stretto/danno "derivante da lesione di altri interessi costituzionalmente protetti", dall'altro).
E cioè a dire, il giudice delle leggi diversamente dalla Corte Suprema, discorre espressamente di un "danno, spesso definito in dottrina e in giurisprudenza come esistenziale, derivante dalla lesione di altri interessi di rango costituzionale inerenti alla persona diversi da quello all'integrità psichica e fisica della persona conseguente ad un accertamento medico, ex art. 32 della Costituzione".
Osserva ancora la Corte Suprema nell’ordinanza in esame come
CASS.4712/08
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Negli ultimi anni, argomenta ancora la suprema Corte si sono contrapposte due scuole di pensiero, quella "esistenzialista", da un lato, quella "anti-esistenzialista", dall’altro.
Si è assistito, cioè, al fiorire, da un canto, di un primo filone di giurisprudenza esistenzialista, che interpreta il danno esistenziale, di volta in volta (sull'onda di una copiosa giurisprudenza di merito, il più delle volte di equità), come categoria aperta anche ai disagi, ai turbamenti psichici e agli stress, talvolta spingendosi altresì ad individuare nella lesione della serenità personale e nella violazione in sé di un bene costituzionalmente tutelato (ad esempio, la personalità, l'immagine, la reputazione, l'autostima) la prova dell'esistenza del danno in esame.
Sia la I sezione della Suprema Corte, sia la sezione lavoro (rispettivamente, con le sentenze 9009/2001 e 7713/2000) riconducono, difatti, il danno esistenziale a "tutte le compromissioni delle attività realizzatrici della, persona umana (impedimenti alla serenità familiare, al godimento di un ambiente salubre e di una situazione di benessere, al sereno svolgimento della propria vita lavorativa)": al pari dei pregiudizi alla salute, i pregiudizi attinenti alla dimensione esistenziale, comprensivi dei "disagi e turbamenti di tipo soggettivo", non potevano ritenersi privi di tutela risarcitoria sulla scorta della "lettura costituzionalmente orientata del sistema della responsabilità civile".
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Sul versante opposto, insieme con altrettanto numerose decisioni di merito, due pronunce della giurisprudenza di legittimità, di segno radicalmente opposto rispetto a quelle or ora menzionate, risultano espressamente contrarie alla figura del danno esistenziale: secondo Cass. civ., n. 15449/2002 e, soprattutto, Cass. civ., n. 15022/2005, i principi applicabili al tema del danno non patrimoniale dovevano ritenersi quelli secondo cui: a) mentre per il risarcimento del danno patrimoniale il riferimento al "danno ingiusto" comporta una atipicità dell'illecito ex art. 2043, come ribadito dal Cass. ss. uu. 500/1999 in tema, di risarcibilità degli interessi legittimi, eguale principio di atipicità non può essere affermato in tema di danno non patrimoniale risarcibile; b) la lettura costituzionale dell'art. 2059 limita oggi il risarcimento dei danni non patrimoniali ai casi previsti dalla legge ed a quelli di lesioni di specifici valori costituzionalmente garantiti della persona; c) di conseguenza, appare illegittimo ogni riferimento ad una generica categoria di danno esistenziale nella quale far confluire fattispecie non previste dalla norma e non necessitate dall'interpretazione costituzionale dell'art. 2059 cc. perché questo comporterebbe la atipicità anche del danno non patrimoniale; d) quanto, poi, al risarcimento del danno da uccisione del congiunto per la definitiva perdita del rapporto parentale, questo sarebbe legittimo perché il relativo interesse si concreta nell'interesse alla intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia, alla inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito della peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia la cui tutela è ricollegabile agli artt. 2, 29, 30 Cost.: essa si colloca nell'area del danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 e si distingue sia dall'interesse al bene "salute" (protetto dall'art. 32 e tutelato attraverso il risarcimento del danno biologico) sia dall'interesse all'integrità morale (protetto dall'art. 2 della Costituzione e tutelato attraverso il risarcimento del danno morale soggettivo).
Nell'ottica dell'adozione di una posizione per così dire "intermedia" (pur non discorrendo espressamente di danno esistenziale), si pone la pronuncia di cui a Cass. civ., n. 6732/2005, secondo la quale la lesione di diritti inviolabili o fondamentali e di interessi giuridici protetti perché inerenti a beni della vita o essenziali per la comunità, come l'habitat, l'inquinamento, l'ambiente di lavoro, comporta una eterogeneità di situazioni che rendono difficile una classificazione categoriale generale, ma, ciononostante, la lesione della reputazione dell'imprenditore derivante dall'illegittimo protesto, in quanto incidente su valori fondamentali della persona, determina, un danno non patrimoniale che risulta risarcibile ai sensi dell'art. 2059 anche in assenza dell'accertamento di un fatto reato.
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All'orientamento anti-esistenzialista post 2003 devono ricondursi ancora le sentenze della III sezione civile della Suprema Corte nn. 23918 del 2006, 9510 e 9514 del 2007, 14846 del 2007 (quest'ultima resa in tema di danno da uccisione dell'animale di affezione). Nell'ambito del filone "esistenzialista" troveranno viceversa spazio le pronunce della Suprema corte n. 13546/2006 e n. 2311/2007, in un crescendo di sempre più marcata antinomia di posizioni che hanno indotto una recente e fortemente critica dottrina a rilevare come, addirittura, "accada che relatore di una sentenza dove trova conferma il danno esistenziale nella forma di perdita della capacità di avere rapporti sessuali per conseguita impotentia coeundi" sia addirittura "lo stesso magistrato che, soltanto qualche mese prima si era espresso negativamente sulla figura del danno esistenziale".
Da parte sua, la dottrina non ha poi mancato di osservare come, a mente del capo III, titolo X, D.lgs. 209/2005 (cd. "codice delle assicurazioni"), il combinato disposto degli artt. 137 (danno patrimoniale) e 138/139 (danno biologico) potrebbe addirittura indurre a ritenere legittimamente risarcibili soltanto tali voci di danno, dovendosi per volontà dello stesso legislatore identificare ormai l'intero danno non patrimoniale con il danno biologico, così abbandonando la triplice configurazione prospettata nel 2003.
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Le Sezioni Unite sono altresì chiamate a dare conferma (o, eventualmente, a precisare o modificare), sulla base della propria stessa giurisprudenza, in ordine ad alcune ulteriori proposizioni, che vengono così sintetizzate nell’ordinanza interlocutoria:
<<1)>>.
A seguito dell’ordinanza in esame si sono nutrite, sia da parte della dottrina, sia da parte della giurisprudenza, molteplici aspettative di un chiarimento sul tema.
Tali aspettative, in verità, sono state disattese dall’intervento delle Sezioni Unite (sentenza 11 novembre 2008, n. 26972) che, con un argomentare in verità a tratti confuso, più che indicare la via maestra da seguire hanno ancor di più confuso un panorama interpretativo già di suo piuttosto complesso.
Le Sezioni Unite (che danno risposta negativa a tutti i quesiti posti) rilevano, preliminarmente, come negli ultimi anni si siano formati in tema di danno non patrimoniale due contrapposti orientamenti giurisprudenziali, dei quali l'uno favorevole alla configurabilità, come autonoma categoria, del danno esistenziale attinente alla sfera del fare areddituale del soggetto e l’altro di segno diametralmente opposto.
Quindi vengono richiamate le sentenze “gemelle” del 2003 (Cass. civ., n. 8827 e n. 8828), con l’intento di completarle:
CASS.26972/08
<<2.3.>>
Il procedere della Corte, da un lato, sa di vecchio – che senso ha richiamare la legge n. 675/96 confluita, come noto, nel D.Lgs. n. 196/03? – dall’altro lato fa leva su due norme (richiamate in tutto tre volte nel testo della sentenza), gli artt. 138 e 139 Codice delle Assicurazioni private i cui profili di erroneità tecnica già sono stati evidenziati. Come già si è detto che, in precedenza, altri testi di legge regolavano i profili risarcitori connessi al danno biologico facendo uso della medesima definizione oggi propria di tali norme.
La Corte passa poi ad affermare che
<
La tipicità, nell’economia della sentenza in esame, si pone in termini di assolutezza. Sembra quasi potersi cogliere un parallelismo tra la “tassatività” della norma penale e la “tipicità” dell’art. 2059 c.c..
Ma non può seriamente avallarsi un simile argomentare. Il rimando è alla Costituzione che ha poche norme di immediata applicazione precettiva trovando, tutte le altre, applicazione nelle leggi ordinarie e nelle interpretazioni giurisprudenziali o, ancora, nelle opinioni dei dottori.
E vi è - soprattutto - il riconoscimento dei diritti inviolabili di cui all’art. 2 Cost. che impone un rimando ad una realtà sociale in continua evoluzione; norma, quest’ultima, che letta, e correttamente interpretata, in combinazione con il successivo 3 Cost. diventa la fucina dei nuovi diritti.
Ed allora, possiamo affermare che questa tanto decantata tipicità del danno non patrimoniale non è pura, ma relativa, o meglio ancora, è una falsa tipicità (sul punto ci soffermeremo comunque più avanti).
Tornando alla sentenza in esame è da evidenziare un altro passaggio fondamentale. È quello cioè in cui le Sezioni Unite, posto l’accento sull’ <
Ed ancora, esclusivamente a fini descrittivi <
<
Poi la Corte d’improvviso sembra cambiare rotta. Ricorre ad una espressione che ha in sé tutta la teoria del danno esistenziale, o meglio che garantisce tutti gli interessi sottesi alla dottrina del danno esistenziale. Nella responsabilità civile poco contano gli articoli, il loro posizionamento all’interno del codice o delle altri leggi dello Stato; a contare sono gli interessi e i diritti violati che effettivamente vengono risarciti.
Osservano le Sezioni Unite:
<
Ed è a questo punto che la Corte è chiamata a sciogliere il più importante dei nodi interpretativi: si pone cioè la questione se, nell'ambito della tutela risarcitoria del danno non patrimoniale, possa inserirsi, come categoria autonoma, il c.d. danno esistenziale.
Qui la Corte articola il suo periodare in più passaggi, che così possiamo ora sintetizzare:
- richiamo alle tesi elaborata in dottrina nei primi anni '90 sul danno esistenziale;
- richiamo delle sentenze della medesima S.C. n. 7713/2000, che “discorre” di danno esistenziale, e n. 4783/2001, <
- richiamo al tema di danno da irragionevole durata del processo (art. 2 della legge n. 89/2001) riferendosi non già agli ultimi arresti della giurisprudenza di legittimità bensì alla sentenza S.C. n. 15449/2002;
- richiamo alle decisioni giurisprudenziali che nell'ambito del rapporto di lavoro hanno riconosciuto il danno esistenziale da mancato godimento del riposo settimanale (sent. n. 9009/2001) e da demansionamento (sent. n. 8904/2003);
- richiamo critico alla giurisprudenza dei giudici di pace che hanno riconosciuto il danno esistenziale <
- richiamo infine alle sentenze gemelle che <
Così archiviata l’autonoma categoria del danno esistenziale la Corte accoglie l’accezione <
<<3.4.>>.
E qui l’interprete non può non chiedersi se il diritto alla sessualità all’interno del matrimonio sia un diritto costituzionalmente tutelato, ed espressamente menzionato, dalla Carta Costituzionale. Non lo è espressamente. Ma possiamo certamente affermare – pur con una certa difficoltà argomentativa nella ricerca delle norme relative alla famiglia all’interno della Costituzione - che il diritto ad avere dei normali rapporti sessuali è un aspetto della personalità rilevante nel rapporto di coniugio che, in tal modo, ha il suo valido fondamento - la sua “copertura” - costituzionale (il richiamo è alle norme sui diritti inviolabili e sulle relazioni personali all’interno della famiglia, e quindi agli artt. 2 e 29 della Costituzione; ma un cenno merita anche la normativa relativa alla maternità, che ha alla base la capacità procreativa, e così a seguire, e non certamente il diritto alla salute come invocato nella vecchia sentenza richiamata dalle Sezioni Unite).
Ciò che occorre è quindi una lettura aperta, dinamica, aggiornata ai tempi che corrono, della Costituzione; è questo un testo che ci offre un ventaglio di diritti in divenire che richiedono una tutela risarcitoria integrale. Possono quindi nutrirsi seri dubbi sulla presunta tipicità del danno non patrimoniale (soprattutto a seguito dell’esempio fatto dalle Sezioni Unite).
Alle Sezioni Unite non sfugge, poi, un richiamo alla nota sentenza n. 6572/2006 (delle medesime S.U.) per cercare di limitare la portata ed il contenuto di tale decisione.
Secondo l’arresto in esame tale decisione del 2006, e le successive che nel tempo hanno contribuito a consolidarla (n. 4260/2007; n. 5221/2007; n. 11278/2007; n. 26561/2007) non confortano la tesi di quanti configurano il danno esistenziale come autonoma categoria. Ciò in quanto attengono esclusivamente all’ambito contrattuale:
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In questo modo le Sezioni Unite sminuiscono contenuto ed insegnamento della sentenza del 2006 sulla cui portata si è già avuto modo di soffermarsi in questo capitolo
Proviamo ora a mettere dei punti fermi, tenendo in debito conto il dettato della sentenza in esame.
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È condivisibile la prima parte, non la seconda. L’espressione “il diritto ad essere felici” è espressione vuota di significato.
Ci si attendeva dalle Sezioni Unite una esemplificazione casistica dei diritti e degli interessi meritevoli di tutela, insomma un elenco su cui discutere e riflettere, e non già un richiamo a casi bislacchi, che hanno sollecitato la fantasia di qualche giudice di prime cure.
La sentenza in esame più volte ricorre alle espressioni “diritti costituzionalmente tutelati” e “ingiustizia costituzionalmente qualificata” quasi a volersi mettere al riparo da eventuali attacchi della dottrina.
Quello che può certamente dirsi, in conclusione, è che tutti gli interessi di natura esistenziale seguendo questa sentenza – che pure, lo si ripete, nega autonomia al diritto esistenziale - possono essere risarciti, purché non si insista troppo sul sintagma “danno esistenziale”. Occorrerà nei singoli casi concreti dimostrare l’evento lesivo ingiusto e chiedere il conseguente risarcimento anche del danno non patrimoniale per aver l’evento stesso leso un diritto costituzionalmente tutelato (e cioè che trovi una copertura costituzionale), da dimostrare.
In altre parole, tutti i diritti costituzionalmente tutelati e tutti gli interessi meritevoli di tutela che abbiano un appiglio nella Costituzione possono essere portati al vaglio del giudice e, per dirla con le parole delle Sezioni Unite, sarà
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Vi è da precisare che le Sezioni Unite hanno replicato la loro motivazione in ben quattro sentenze. E’ opportuno ora menzionare i passaggi relativi alle singole questioni portate in giudizio.
La prima, in tema di responsabilità professionale:
CASS.26972/08
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